L’odore che hanno i Nonni

I Nonni. Sarà che ultimamente ne vedo tanti. Sarà che fuori piove. Sarà che mi mancano.
Chissà cosa fanno, adesso, i miei Nonni.
Me li vedo, nell’altra vita: uno con le mani sporche di grasso, ad aggiustare il camion di sempre, a tirare qualche “madonna” per un bullone che non vuole saperne di stare al suo posto. L’altro, a seminare ravanelli nell’orto dietro l’angolo. Avranno un orto in Paradiso? Si, credo di sì. Anche perché altrimenti mio Nonno ne avrebbe creato uno.
Nonna invece lo aspetta a casa, dietro la macchina da cucito a pedale con la scritta Singer e le verdure sul fuoco. Stanno insieme, lassù da qualche parte. L’altra invece è ancora qui, nella casa di sempre, nella Piazza di sempre: non sente più e ci vede anche meno, ma mi chiede sempre “quando torni?”. Ed io di questo ho bisogno: di sapere che mi aspetta.
Mi mancano i miei nonni. Anzi, li desidero.
Di uno mi ricordo che tremava tanto, che era magro come una lisca e che nel bel mezzo del silenzio cominciava a cantare una qualche canzone della guerra. Mi ha sempre colpito questa questione della memoria: un uomo non parla per mesi, non ricorda il suo nome, ma improvvisamente, canta.
Di mia nonna ricordo il suo letto dietro una tenda, la sveglia con la gallina e l’immancabile scialle blu sopra le spalle.
Dell’altro nonno ho un solo ricordo: la sua testa sprofondata in un cuscino e la sua mano che mi chiede di avvicinarmi. Era il giorno della sua morte. Era il nostro primo incontro. Pagherei tutto l’oro del mondo per ricordare cosa mi abbia detto in quell’istante: ma ero troppo piccolo, troppo spaventato, troppo colpito.
Uno non può scegliere in quale tipologia di famiglia nascere. Ci sono quelle famiglie perfette, quelle con il Natale tutti insieme, i nipoti che passano da una gamba all’altra degli anziani e che d’Estate ci si ritrova tutti alla stessa tavola.
Poi ci sono le altre, quelle in cui devi scegliere se andare da una parte o dall’altra, e Tu alla fine, per non scontentare nessuno, non vai da nessuna parte, e gli auguri di Natale li fai per telefono. Ecco, io faccio parte della seconda categoria.
Non ho mai capito se i miei nonni si siano mai scambiati una parola in questa vita. E dire che avevano lo stesso nome. E gli stessi nipoti.
Ecco, ogni volta che penso ai Nonni, mi ritrovo a sognare ad occhi aperti sempre la stessa scena.
Un tavolo, un pomeriggio di quelli del Sud Italia, appena dopo pranzo, con la tovaglia piena di briciole e le tazzine da caffè ancora lì, che tanto adesso la Nonna viene a ritirarle. Io, dorso nudo e amaro lucano, e loro, canotta bianca e limoncello. Il mio momento di gloria, una roba tra uomini, il racconto di una vita, l’ultimo anello della catena: la stessa catena. Mi ci vedo, a 27 anni, con la barba e la voce più scura di quella che avevo da ragazzo, a fargli qualche domanda sulla vita, sul mondo, sul perché non vogliano andare in ospedale a fare quel controllo (che tanto non ci andrei neanche io). Ma soprattutto, “come avete conosciuto le Nonne?”: e vai con il racconto di come si faceva un tempo, di quanto sia diverso adesso.
È un bellissimo sogno il mio. Alla fine li saluto, li abbraccio per tenermi addosso quell’odore che hanno i Nonni, quell’odore di certezza, di sicurezza, di amore vero, e vado in strada. Entro in macchina e non mi volto: lo so che sono lì, dietro la finestra a vedermi partire, ma a loro non piace che io me ne accorga.
Perciò fingo di non sapere che mi hanno infilato qualche banconota nello zaino.
Fingo di non sapere che sono lì dietro a vegliare su di me.
Fingo di non sapere che si stanno già chiedendo quando tornerò.

È un bellissimo sogno il mio. Ma è solo un sogno.

Magari lì fuori, per qualcuno di Voi, è ancora realtà.
Correte a viverla, perché il tempo è tiranno, perché le rughe aumentano ed i giorni corrono. Correte a dire a quei Nonni quanto siete felici che siano lì.
Perché magari poi è troppo tardi. E fa sempre male quando è troppo tardi.

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Un sorriso dalle Filippine

Benvenuti, welcome o maligayang pagdating non fa differenza, perché su queste isole, in queste terre che chiamano Filippine, qualunque sia la lingua che voi parliate, ci sarà sempre un sorriso ad accogliere il vostro primo passo.
Non crederete ai vostri occhi, quando apriranno le porte del vostro aereo e vi lasceranno vivere il vostro viaggio. Non crederete che possa ancora esistere su questo pianeta un paesaggio così verde, così ricco. Non crederete che possa ancora resistere su questo pianeta una Natura così intensa, così espressiva. Milioni di piante colorano ogni angolo di questo terra. E dove la terra finisce, comincia il mare: l’immenso Oceano, padre di questa parte del mondo.
Lungo la prima strada vi chiederete come abbiate fatto a scegliere un appartamento in centro, l’orario della metropolitana, la piscina comunale ed il fast food, come abbiate fatto a sopravvivere agli orari d’ufficio, la macchina nuova, l’aperitivo di rito ed il tablet sempre in borsa.
Ma più di tutto, vi chiederete perché abbiate perso il senso reale della vita: parlare con la gente, vivere la natura, amare il mondo e se stessi.
Qui, tra gli occhi sottili di questa gente, ho riscoperto il valore delle emozioni, la loro essenza:
La paura, dell’ignoto, del diverso, del doversi adattare ad una cultura profondamente diversa, della povertà, delle tempeste e persino degli animali in camera. Vi sembrerà di morire, senza i vostri riti, senza il caffè o l’intoccabile pasta, senza una connessione sicura e le cinture di sicurezza.
Il rispetto, di questa gente verso la tua diversità. Alle volte ti sfiorano come si fa con qualcuno che ami, solo per assicurarti che sia vivo, che sia lì, con Te.
La solitudine, che impari a vivere nel silenzio di una Natura immensa, nel ritorno incessante delle onde del mare e nel buio delle sere senza elettricità.
L’amore, per le mani stanche di questa gente che ha perso tutto, che ha visto l’inferno, che ha bisogno di un tuo sorriso, perché basta quello a sentirsi meno soli. E quello per la tua vita, per chi hai di fianco ogni giorno e dimentichi di ringraziare, di abbracciare, perché lì da Noi, siamo troppo impegnati ad inseguire il progresso, per trovare il tempo di amarci davvero.
La tristezza, per la scoperta di quanti volti possa avere la vita, per il pensiero di non fare abbastanza, per gli occhi spaventati dei più anziani, ed anche per quello che non siamo più in grado di apprezzare, in quella parte di mondo più ricca nelle tasche, ma decisamente più vuota nell’animo.
La speranza, che riscopri negli occhi dei bambini per strada, senza una maglia da indossare, ma con il sorriso nel cuore.
Alla fine ho scoperto che ci sono milioni di viaggi che un Uomo dovrebbe compiere prima di morire. E senza dubbio, quello che porta su queste isole è tra quelli. Per la natura, per la cultura, per questa gente e per la più grande delle opportunità: ritrovare se stessi.

 

 

Landscape from Roxas City

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